Visitando il paese di Falerone si possono incontrare ancora oggi numerose tracce storiche del suo passato.
Dal museo archeologico “Pompilio Bonvicini”, i cui studi hanno permesso negli anni ‘50 ritrovamenti significativi dell’epoca picena e della dominazione longobarda, al parco archeologico dell’antica Falerio Picenus ospitante il teatro e l’anfiteatro romani, il borgo di Falerone offre ai suoi visitatori una ricchissima raccolta di testimonianze storiche.
Il Parco San Paolino
Alcune tra le più recenti sono state messe di nuovo in mostra all’interno del Parco San Paolino. Si tratta di tre fontane storiche, denominate fonte di Sambuceto (“Sammucitu”), fonte di Barbiano (“Varbià”), e fonte di Brandimarte (“Vrandimarte” ), ripulite dai cittadini locali durante i lavori per la creazione di un percorso naturalistico e storico adiacente alla Chiesa di San Paolino.
Il sentiero, denominato Sentiero Ceccuccio, giunge fino al teatro romano e si inoltra in una foltissima vegetazione ricca di querce, acacie, olmi, fichi, noci e ciliegi, tra cui spesso s’intravedono caprioli, gazze e numerose altre specie di animali locali.
Il progetto è stato ideato da un gruppo di volontari locali che hanno in seguito formato l’Associazione Parco San Paolino, col fine di promuovere le ricchezze storiche e naturalistiche del proprio territorio, mostrarne la bellezza ai visitatori e permetterne la riscoperta ai cittadini di Falerone.
La Fonte di Sambuceto
Poco prima dell’inizio del percorso si trova la Fonte di Sambuceto, o “Sammucitu”, la fonte più antica, risalente alla fine del sec. XIX e tuttora in ottimo stato di conservazione. Qui s’immaginano scene di un passato non troppo lontano, eppure tanto diverso dai giorni nostri: famiglie che si recavano quotidianamente alla fonte per riempire le brocche di terracotta e riportare l’acqua a casa; donne che con grandi ceste o semplicemente arrotolando i vestiti sulle loro teste (sulle quali issavano anche le brocche) raggiungevano il lavatoio per fare il bucato con la cenere. Presso la fonte di Sammucitu avveniva la realizzazione delle corde, utilizzando la canapa macerata e battuta con un attrezzo chiamato la “macenga”.
Nella vita contadina di un tempo l’acqua era elemento indispensabile funzionale a vari scopi, primo tra tutti il nutrimento degli animali da allevamento, essenziali per tutti i lavori nei campi (arare, preparare i terreni per la semina, portare a casa [“lo rcarregghià”] il fieno, il grano, il granturco, l’andare al mulino…). Venivano dissetati anche i maiali, da cui si ricavava il lardo per cucinare, e il pollame (galli, galline, oche, papere) generoso di uova con le successive nidiate di pulcini. L’acqua era inoltre fondamentale per irrigare gli orti e per altre mansioni di cura delle coltivazioni (ad esempio l’acqua ramata).
Il centro di aggregazione sociale
Dunque le fonti fornivano, e forniscono ancora oggi, il bene più prezioso di una popolazione, e non solo. Esse erano anche il vero centro di aggregazione sociale, economico e culturale dei residenti e delle contrade in cui essi abitavano.
Intorno alle vasche le donne, lavando, cantavano, facevano pettegolezzi, raccontavano le vicende di famiglia e di paese. Si accendevano animate discussioni per sistemarsi nei posti migliori per il bucato (di solito vicino alla cannella da dove sgorgava l’acqua), e si borbottava quando arrivava il contadino con le mucche da abbeverare, perché questo intorbidava l’acqua. Alla fonte spesso stazionavano i perdigiorno, attenti ad osservare il lato B delle donne chinate a lavare; c’erano incontri e nascevano fidanzamenti. Si racconta ancora che tra i sambuchi di “Sammucitu” era stato sistemato un quadro della Madonna per contrastare “lo cattio de le streghe e de lu lupu manà”, ossia del licantropo. Vicino alla fonte, andando verso la chiesa di San Paolino, c’era il quadrivio dove, secondo la credenza popolare, bisognava buttare l’acqua usata per scacciare il malocchio. E’ impossibile incontrare un faleronese che non ricordi “Sammucitu”.
Le altre fonti
Lungo il sentiero si incontrano le altre due fonti: Barbiano, o “Varbià”, con il mascherone rinvenuto durante i lavori di restaurazione, e quella di Brandimarte, o “Vrandimarte”, alla fine del percorso.
L’impegno dei volontari nel ripulire queste fonti ha permesso che esse non venissero dimenticate, e che fossero riscoperte per riportare in vita ricordi di un’epoca vissuta, abitudini che rispecchiano la cultura e la tradizione autoctona e che ne evidenziano l’unicità.
Visitando le fonti si ricordano i tanti personaggi che le animavano, le attività caratteristiche che vi si praticavano, l’arduo lavoro dei contadini, i modi di dire, i canti, le credenze e i valori che i Faleronesi di oggi ancora conservano nelle proprie memorie e nel proprio cuore. Un cammino che valorizza la storia di Falerone e delle sue contrade, oltre che il suo ugualmente importante patrimonio naturalistico.
Oggi il Parco San Paolino, sito nell’area un tempo adibita al Tiro a Segno Nazionale, mostra all’aria aperta i reperti storici, la flora e la fauna che caratterizzano il territorio; le fonti, i vasti spazi verdi e la ricca vegetazione che fiorisce lungo il sentiero. L’insieme delle unicità di un territorio che vuole essere preservato, per ricordarne l’importanza e la bellezza da condividere con ogni visitatore.
Per maggiori informazioni sul Parco San Paolino e le fonti storiche visitare la pagina FB: https://www.facebook.com/parcosanpaolino
Articolo di Giulia Cecchi e Ubaldo Santarelli