« Le città di Lamone e di Santerno
conduce il lïoncel dal nido bianco, che muta
parte da la state al verno. »
Inferno, Canto XXVII, vv. 49-51
« Come quel fiume c’ha proprio cammino
prima dal Monte Viso ‘nver’ levante,
da la sinistra costa d’Apennino,
che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,
rimbomba là sovra San Benedetto
de l’Alpe per cadere ad una scesa
ove dovea per mille esser recetto;
così, giù d’una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell’acqua tinta,
sì che ‘n poc’ora avria l’orecchia offesa. »
Inferno, Canto XVI, vv. 94-102
Nella bella valle del Fiume Montone, nella Romagna Toscana, scorre il fosso dell’Acqua Cheta che dà origine a questa bella cascata e che ispirò il Sommo Poeta Dante Alighieri. L’Acquacheta è un corso d’acqua tosco – romagnolo, affluente del fiume Montone, che nasce sull’Appennino toscano nei pressi del Monte Lavane nel Comune di San Godenzo in Provincia di Firenze. Poco prima di passare per San Benedetto in Alpe, unendosi al Troncalosso forma il Montone, precipita in modo spettacolare da un alto salto di arenaria, dividendosi in mille, rumorosi rivoli.
Oggi la cascata è inserita nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna di cui rappresenta uno degli elementi naturali più importanti.
Nella zona sono stati identificati due distinti Siti di Interesse Comunitario, a seconda della competenza territoriale regionale: Acquacheta (IT4020010) in Emilia-Romagna e Muraglione – Acquacheta (IT1342908) in Toscana.
La cascata dell’Acquacheta è situata in una valle che è il gioiello dell’appennino tosco-emiliano, nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, vicino al paese di San Benedetto in Alpe, provincia di Forlì al confine con la Toscana.
Il Monastero Benedettino Cassinese “Badia di Santa Maria di Rio Cesare a Susinana”, in Località Badia di Susinana, è teatro del Canto XXVII dell’Inferno dantesco. Infatti nella terzina 49 – 51 che cita
“Le città di Lamone e di Santerno conduce il lïoncel dal
nido bianco, che muta parte da la state al verno.”
(ovvero, le città bagnate dal Lamone (Faenza) e dal Santerno (Imola) sono governate dal piccolo leone in campo bianco, che cambia partito da una stagione all’altra), si parla di Maghinardo Pagani che, come riporta la targa all’esterno di una delle pareti dell’Abbazia: “Questa Badia, donde era sorto aveva scelto come estremo asilo Maghinardo De’ Pagani (1302) Signore di Terre e Città di Romagna”.
Il Casato dei Pagani possedeva fin dall’XI secolo numerosi castelli nella valle del Senio, tra Imola e Faenza; tra essi spiccava quello di Susinana. L’emblema della famiglia era un leone azzurro in campo argenteo. Ghibellini per tradizione, i primi personaggi di spicco della famiglia combatterono a fianco di Federico I di Svevia e Federico II.
Prendendo la macchina e dirigendosi nel Comune di Marradi, basta proseguire in direzione di San Benedetto in Alpe, per trovare un altro luogo citato da Dante nel Canto XVI dell’Inferno alle terzine 94 – 102:
“Come quel fiume c’ha proprio cammino prima dal Monte Viso ‘nver’
levante, da la sinistra costa d’Apennino, che si chiama Acquacheta suso, avante che si divalli giù
nel basso letto, e a Forlì di quel nome è vacante, rimbomba là sovra San Benedetto de l’Alpe
per cadere ad una scesa ove dovea per mille esser recetto; così, giù d’una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell’acqua tinta, sì che ‘n poc’ora avria l’orecchia offesa.”
Ovvero: come quel fiume che per primo – per chi guarda – dal Monviso verso levante, ha – tra i fiumi che nascono – dal versante sinistro dell’Appennino, un corso interamente suo, il quale nella parte superiore si chiama Acquacheta, prima di scendere nel suo alveo in pianura, e a Forlì non ha più quel nome rimbomba sopra San Benedetto dell’Alpe per il fatto che precipita attraverso una sola cascata, ove dovrebbe essere ricevuto da mille (cascate), così trovammo che rimbombava quell’acqua oscura, riversandosi attraverso un pendio ripido, in modo tale che avrebbe in poco tempo danneggiato l’udito.
Arrivati di fronte alla Badia del Borgo, il percorso entra nella valle dell’Acerreta e scende al suggestivo Eremo di Gamogna. Si scende nel fondovalle e si risale fino a Trebbana. Raggiunta la cresta fra le valli dell’Acerreta e del Tramazzo si punta a sud toccando Monte del Cerro e si scende nella valle del Tramazzo, giungendo rapidamente alle rive del Lago di Ponte. Scesi al lago, si costeggia la sponda destra per Trebbana fino alla strada del Tramazzo a pochi metri dal valico. Si cavalca la lunga cresta detta “dei Susinelli” che si getta verso il fondovalle del Fosso dell’Acquacheta.
I primi nuclei abitati della valle risalgono al 1021, epoca in cui fu edificato un eremo detto dei “Toschi”, dipendente dall’abbazia benedettina di San Godendo: proprio sopra il balzo dove l’Acquacheta compie la sua caduta sono le rovine dei Romiti, antico nucleo di case in pietra edificato nel Mille insieme alla fondazione di un eremo di frati vallombrosani, eremo che ospitò fra gli altri anche Dante Alighieri.
Il paese di San Benedetto in Alpe è sorto attorno ad una primitiva chiesa risalente al IX° sec., edificata in un luogo che la tradizione popolare indica come la sepoltura del monaco San Gaudenzio, vissuto tre secoli prima; nel 1028 la chiesa fu trasformata in abbazia, i cui resti, insieme alle celle dei monaci, sono visibili ancora oggi. Infatti, ai giorni nostri, al posto dell’antico monastero benedettino si trova una chiesa costruita nel 1723.
Nel piazzale adiacente il ponte sul torrente Acquacheta, c’è una bella fontana sulla quale sono incisi i versi con cui il sommo poeta Dante Alighieri, che soggiornò in questi luoghi, citò la cascata nel canto XVI° versi 94/105 dell’Inferno nella Divina Commedia paragonandola alla caduta che compie il fiume Flagetonte quando precipita dal settimo cerchio (quello dei sodomiti) all’ottavo (quello dei fraudolenti).
Letti i versi del sommo poeta, ci incamminiamo lungo la strada sterrata, sempre ben tracciata e si continua poi in un sentiero ben segnato che sale tra strati di arenaria e piante costeggiando il torrente Acquacheta: il sentiero è cartellonato come “sentiero natura” e prevede dieci punti di sosta e di osservazione indicati con tabelle, per facilitare l’interpretazione degli aspetti naturali del territorio.
La prima sosta è al bosco di ontani, che occupa i resti di un vecchio meandro fluviale; la seconda la si effettua in un luogo che ci fa ben rilevare la diversità dei due versanti attraversati dal torrente, con quello di fronte a noi a “reggipoggio” (gli strati di roccia emergono dalla montagna) e quello da noi percorso detto “franapoggio” (meno inclinato e più utile alle attività dell’uomo); la terza tappa è in una zona rocciosa particolare formata da due tipi di roccia, marna ed arenaria; la quarta in un luogo ricco di arbusti: biancospino, prugnolo, rovo, rosa selvatica, ginepro; la quinta in una zona con vegetazione submontana: roverella, cerro, carpino nero e dove incontriamo l’antico “Capanno del Rospo”, un vecchio edificio adibito a ricovero di attrezzi agricoli; la sesta sosta la si effettua in un punto in cui il sentiero si avvicina al torrente, in questo tratto stretto e ripido, e dove, con un po’ di fortuna, si possono osservare il merlo acquaiolo e la trota. Nella settima tappa, dove prevale la vegetazione montana, soprattutto faggi, si trova l’antico mulino dei Romiti, in arenaria, recentemente restaurato dall’Ente Parco e ora usato come punto di sosta e di picnic.
L’ottava tappa è quella più importante perché, salendo dal mulino dei Romiti, con il rumore della caduta dell’acqua che udiamo sempre più forte, perveniamo a quota 678 alla veduta della cascata, imponente, alta 70 m. e larga 30 m. e la visione è davvero incomparabile, va vista perché non si può descrivere. La sua origine è probabilmente legata ad un lago formatosi in seguito ad un movimento franoso che imbrigliò il torrente Acquacheta, le cui acque poi tracimarono per precipitare nel fosso sottostante, torrente Acquacheta che nasce dall’unione di due ruscelli incontaminati che provengono dal monte Peschiera e dal monte Lavane che prima formano il torrente Troncalosso che poi diventa Acquacheta proprio perché scorre silenzioso con ampie anse.
La nona sosta è in corrispondenza di una piccola e suggestiva cascata del torrente Lavane, torrente che attraversiamo per risalire in pochi minuti al pianoro erboso dei Romiti, quota 720, decima e ultima tappa del sentiero natura: per arrivare fin qui da San Benedetto in Alpe abbiamo impiegato 1h30 superando un dislivello di 315 m.
Il piano dei Romiti, un tempo coltivato, è un luogo incantato (qui nel 986 i monaci dell’abbazia di San Benedetto in Alpe fondarono un eremo, visitato anche da Dante) un’oasi erbosa in mezzo ai boschi e alle montagne, con il ruscello che scorre nel mezzo e i ruderi dell’eremo: da qui ci si può affacciare su un lastrone roccioso, detto “Letto di Dante”, ed ammirare tutta la valle dell’Acquacheta, oppure scendere leggermente verso la cascata per ammirarla dall’alto, con uno spettacolo superbo. Dopo aver sostato al Pian dei Romiti possiamo far ritorno a San Benedetto in Alpe impiegando 1h30 di cammino.
E quando sei in zona, consigliamo di soggiornare a Palazzuolo sul Senio presso la Torre del Vicario nel centro storico.
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P. Cavini